Chiamata dai celti Brik e dai romani Brixia, la città di Brescia è un importante centro urbano ai piedi delle Alpi, attraversato da secoli di storia. Si è sviluppata in modo significativo a partire dalla tarda età repubblicana, quando, nell’89 a.C., divenne colonia romana di diritto latino (1), ma la sua storia ha inizio molto prima.
Le più antiche tracce di insediamento nel territorio della città risalgono all’età del bronzo (1200 a.C.), nei pressi del colle Cidneo, così chiamato dal leggendario re ligure Cidno. Tuttavia, è a partire dall’età celtica che abbiamo informazioni più significative, legate soprattutto all’archeologia, che ci ha fornito importanti elementi per comprendere la cultura del gruppo celtico dei Cenomani, che ha abitato il territorio a partire IV secolo a.C.
Lo storico romano Livio, ci racconta dell’insediamento dei galli nel territorio bresciano: «[…] Subito dopo, un’altra ondata di Galli – questa volta Cenomani guidati da Etitovio – seguì le orme dei predecessori e, dopo aver valicato le Alpi nello stesso punto con l’appoggio di Belloveso, si andò a stanziare là dove oggi si trovano le città di Brescia e Verona.». (2) L’arrivo aggressivo dei Celti cambiò dunque il quadro dei gruppi culturali dell’Italia settentrionale preromana, introducendo nuovi costumi (come l’usanza dell’inumazione nelle sepolture), nuovi oggetti e una nuova cultura.
Il territorio in età cenomane era generalmente organizzato in un sistema di piccoli abitati rurali sparsi. Li conosciamo soprattutto grazie al ritrovamento di necropoli localizzate prevalentemente in due zone: l’anfiteatro morenico del Garda, specialmente a ovest del fiume Mincio e la pianura nel tratto compreso tra la confluenza dei fiumi Mella e Chiese nell’Oglio. Le sepolture cenomani ci danno moltissime informazioni principalmente grazie al loro corredo, che era costituito da armi (spade, lance, coltelli, scudi, elmi) e da oggetti di abbigliamento e di ornamento come fibule, torques, braccialetti, anelli e armille.
La città di Brik, che in lingua celtica significa “altura”, doveva avere un impianto urbanistico definito, dal momento che costituiva la capitale della tribù dei Cenomani. Tuttavia, i materiali con cui i celti erano soliti realizzare i loro insediamenti sono principalmente organici (legno, argilla, paglia, ecc.), pertanto le tracce arrivate fino a noi non sono che un’ombra di quello che doveva essere un fiorente centro urbano.
All’arrivo dei Romani, la città di Brixia, dimostrando una certa lungimiranza, si schierò immediatamente con la potenza in ascesa, dimostrando acume politico e capacità diplomatica. Nel periodo immediatamente successivo alla seconda guerra punica (218-201 a.C.), i Romani attuarono la conquista del territorio celtico, sottomettendo le tribù a sud del Po. Con gli Insubri e i Cenomani a nord, invece, fu stretta un’alleanza, che portò alla rapida romanizzazione dei costumi delle due tribù galliche.
Nell’89 a.C. Brixia è colonia di diritto latino, nel 49 a.C. di diritto romano. Una rapida romanizzazione, attestata dalla straordinaria presenza di monumenti, la cui realizzazione dimostra la piena adesione alla cultura mediterranea catalizzata ora da Roma. Il tempio repubblicano, con le sue decorazioni pittoriche di II stile (4) in ottimo stato di conservazione, è particolarmente rappresentativo di questo fenomeno.
Nella prima età imperiale sorge forse il monumento più famoso e importante della Brixia romana: il Capitolium, il tempio realizzato da Vespasiano nel I secolo d.C. dedicato alla triade capitolina. Il tempio dominava la piazza del foro, fronteggiato all’estremità sud dalla basilica. Verso est, il teatro, sempre di I secolo, completa il complesso monumentale ancora oggi visibile. In questo periodo, ormai, la Cisalpina è un territorio completamente romanizzato e Brixia ne è un lampante esempio.
I secoli passano e le cose cambiano. A partire dal VI secolo d.C. l’arrivo dei Longobardi sconvolge il territorio della città di Brescia. Le testimonianze archeologiche (5) ci descrivono un popolo inizialmente rozzo, che si è insediato come meglio poteva nei complessi insediativi romani ormai in rovina. Le abitazioni longobarde erano principalmente in legno e paglia, quindi dobbiamo immaginare una città, già segnata dalla guerra Greco-Gotica, ora occasione di raccordo tra le architetture germaniche e le rovine del mondo romano.
I Longobardi, per quanto non siano noti per essere stati un popolo di filosofi, saranno, nei secoli successivi il motore propulsore per la rinascita urbanistica e culturale della città. L’operato dell’ultimo re longobardo, Desiderio, ne è la prova lampante. Quest’ultimo, infatti, realizzò il monastero di San Salvatore (oggi sede del museo della città), associato alla corte reale di Pavia con l’obiettivo sia di farne, probabilmente, un mausoleo di famiglia, sia di renderlo l’epicentro di una grande rete di monasteri dipendenti che ricopriva la penisola italiana fino a Benevento. La città di Brescia è ricca di testimonianze dell’ultima fase longobarda, che dimostrano l’alto grado di civiltà e progresso raggiunto, in seguito alle difficoltà dei secoli precedenti.
A partire dal 774, l’eredità longobarda passa sotto al controllo dei Franchi. Questi ultimi costituirono un regime feudale tale per cui la Corona, in cambio di servizi di carattere militare, assegnasse possedimenti terrieri ad alcuni potenti signori. Questi ottimizzarono loro volta i controlli grazie ai numerosi vassalli loro legati da giuramenti di fedeltà (oltre che da interessi personali), sviluppando così una rete capillare a maglie strette e robuste negli anni (6).
Brescia, come tante altre città dell’Italia settentrionale, ci racconta storie di culture lontane e diverse tra loro, di incontri tra il mondo celtico/germanico e quello mediterraneo, costituendosi nelle sue fasi più antiche come un originale raccordo, che molto ci può dire sulla storia dei nostri antenati.
Davide AMADORI
Università di Padova
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Note
1. Città formalmente autonome, ma strettamente legate a Roma, con un sistema di magistrati mutuato da quello Romano. I cittadini avevano privilegi limitati rispetto a quelli romani optimo iure.
2. Livio, Ab Urbe Condita, V, 35
4. Stile pompeiano associato generalmente, nella sua prima fase, alla rappresentazione di prospettive illusionistiche di architetture.
5. Gian Pietro Brogiolo, Dalla corte regia al monastero di San Salvatore – Santa Giulia di Brescia, All’insegna del Giglio.
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